Mario Borgoni a Venafro nel 1898.
Pitture di fine secolo in Palazzo Armieri
da ALMANACCO DEL MOLISE 2009
Franco Valente
Un secolo si chiude ed un altro avanza. E’ nell’ordine naturale delle cose. A Venafro il passaggio è documentato dalla presenza di Mario Borgoni, uno dei massimi esponenti della scena artistica napoletana di primo Novecento, che ebbe modo di chiudere il secolo in Palazzo Armieri con un ciclo di pitture che, sebbene ancora sostanzialmente ignorato nei trattati di storia dell’arte, costituisce certamente una delle opere pittoriche più qualificanti del territorio campano-molisano del Volturno.
Scoprii queste pitture nel 1972 e ad esse feci cenno qualche anno dopo nel mio volume su Venafro nel trattare dei suoi palazzi senza aver ancora capito, probabilmente, la loro importanza.
Oggi quel ciclo di pitture torna alla ribalta per la graziosa disponibilità delle eredi Armieri, Carmelina e Patrizia, che attorno al Palazzo hanno avviato una serie di interessanti iniziative culturali che certamente apportano benefici all’intera comunità venafrana e che, spero, possano concretizzarsi con un lavoro completo e puntuale di Francesca Armieri Pilla per la sua laurea in architettura su questo Palazzo che costituisce sicuramente la più bella opera di architettura domestica della regione.
Ma per capire cosa abbia fatto Mario Borgoni a Venafro, bisogna conoscere il contesto in cui la sua opera andò a collocarsi.
Palazzo Armieri
Il palazzo, sul progetto del napoletano Carmine Di Crosta, si sviluppa ai limiti dell’antico braccio di strada che collegava la via Latina (oggi via di Maiella) al decumano maggiore della Venafro romana (via per Dentro). È certamente l’opera neoclassica più interessante della città, insieme al palazzo De Lellis, e fu terminata nel 1898, sebbene il fermo del portale principale rechi la data 1874. La facciata presenta attualmente tre piani, mentre nel progetto originario era previsto un altro livello. Al piano terra si aprono sei portoni dai quali si accede ai fondaci. Il portale principale presenta un arco a tutto sesto, limitato da due semicolonne doriche in pietra di S. Nazzario che sorreggono il balcone principale mediante un architrave su cui poggiano dieci mensole. Ai due piani superiori si aprono sei balconi per parte, separati tra loro da lesene accoppiate e con capitello corinzio. La facciata si conclude nella parte superiore con un pronunciato cornicione. Davanti al portale sono rimasti, poggianti su basi di pietra squadrata, elementi verticali in ghisa che prima reggevano lampioni a petrolio.
Lo stemma del portone, scolpito anch’esso su pietra di S. Nazzario, rappresenta a rilievo pronunziato un leone a difesa di una torre merlata con tre stelle in alto. La composizione è sormontata da una corona a cinque punte. Dal cortile interno, con archi a piano terra e finestre separate da lesene binate, si accede ai piani superiori mediante uno scalone con rampe di 11 gradini che poggiano nella parte centrale su colonne binate in pietra. La luce alla scala penetra attraverso grossi finestroni con arco a tutto sesto che affacciano sul cortile interno. Lo scalone fa parte integrante del palazzo e la fusione tra architettura e decorazioni pittoriche è ben eseguita.
Esecutori materiali delle opere in muratura ed in pietra, come viene riferito dal Salzillo nella sua Storia Civile della città, furono Domenico Cimorelli, il quale seppe con pietra calcarea brecciosa colorata fare colonne di venti palmi di un sol pezzo, e poi levigarle uso marmo e Giuseppe De Carlo di Fornelli, che insegnò a Venafro tali principii d’arte, e delle costruzioni delle volte a mattoni, ed altro.
Mario Borgoni a Venafro
Una ricognizione fondamentale per l’opera di Mario Borgoni (il cui nome di battesimo era Mariano) è stata compiuta a più riprese e sintetizzata da Mariantonietta Picone Petrusa nella poderosa opera sulla pittura napoletana del Novecento dove, avvalendosi di supporti, analisi e schede di vari autori segnalati nella ricca bibliografia, sintetizza l’opera dell’artista, senza però mai fare riferimento al ciclo di pitture venafrane delle quali evidentemente non esiste traccia negli archivi napoletani .
Mario Borgoni era nato a Pesaro nel 1869 ma giovanissimo si era trasferito a Napoli dove, dal 1883, frequentò il Reale Istituto di Belle arti di Napoli alla scuola di Ignazio Perricci.
A 17 anni ebbe una menzione speciale per il Disegno Geometrico e nel 1888 ricevette il premio per la “Pittura decorativa a guazzo” per lavori fatti l’anno precedente.
Qualche tempo dopo, ancora giovanissimo, seguì il suo maestro Perricci a Monza per collaborare alla decorazione della sala da pranzo del Palazzo Reale. In questo periodo aveva eseguito le decorazioni del Salone Margherita che fu aperto al pubblico nel 1890.
Qui cominciò a fare largo uso di giovani soggetti femminili che poi divennero il motivo conduttore di tutta la sua produzione artistica sia murale che pubblicitaria. Per Giannelli le sue rappresentazioni ebbero particolare successo proprio per la capacità di esprimere l’esuberanza giovanile femminile attraverso un uso potente del colore che evidenziava tutto il suo impeto giovanile.
Si conoscono le sue partecipazioni alle esposizioni della Società Promotrice di Napoli nel 1888, nel 1890, nel 1891, nel 1892, nel 1896 e nel 1897. Partecipazione che continuò anche nel secolo successivo.
Insieme alle pitture murali del Salone Margherita, l’occasione per la famiglia Armieri di conoscere il suo talento fu la decorazione del Palazzo della Nuova Borsa (progetto di Alfonso Guerra e Luigi Ferrara) che eseguì tra il 1897 e il 1898.
Con Borgoni lavorarono alla Borsa altri illustri pittori (Mancinelli, Esposito, Migliaro, Campriani, D’Agostino, Postiglione e Cozzolino). Nella sala della presidenza egli eseguì due scene con le allegorie di Mercurio protettore delle arti e del commercio e Partenope che premia le industrie e le arti di Napoli
Proprio di quest’anno 1898 è il ciclo di pitture venafrane la cui straordinarietà sta anche nel fatto che si tratta di un’opera decorativa completa e interamente eseguita da lui.
Mentre decorava il palazzo Armieri, aveva solo 28 anni. A Venafro compì un’opera di straordinario respiro sia per la grande quantità di figurazioni che eseguì con la tecnica della tempera, sia per la qualità dello stile che poi lo collocò tra le grandi firme dell’arte italiana di quell’epoca.
Quando lavorava per gli Armieri di Venafro era, dunque, il 1898, come ricorda la sua firma datata ed applicata a margine di due delle figurazioni più belle.
Le pitture dello scalone, tutte a tempera e prevalentemente color seppia, rappresentano varie allegorie. Al piano terra è raffigurato Bacco che, a dorso di un asino, inghirlandato da uva e foglie, é circondato da otto personaggi femminili nudi. Tutta la rappresentazione è racchiusa in motivi floreali e musicali.
La pittura, posta all’inizio della scala, introduce il tema della sensualità e del piacere che si sviluppa nelle altre figurazioni.
Sempre a piano terra vi è l’allegoria del Sole e della Terra, dal cui amore nascono i frutti: “Sol Potens, Terra Abundans”. Il Sole è rappresentato da un vigoroso uomo armato che regge un grosso brando ed è ricoperto da un’armatura. La Terra è invece raffigurata in una donna incinta, ricoperta da un velo trasparente, con i capelli intrecciati di fiori e con ai piedi frutti della terra.
Sulla parete della seconda rampa è raffigurata una donna di spalle che danza avvolta da un velo trasparente. La figura è racchiusa tra putti alati e mascheroni che si sciolgono, nel disegno, in motivi floreali.
E’ una esplosione di elementi decorativi che attingono soprattutto alla tradizione rinascimentale delle grottesche, ma rivisitate con il gusto dilagante del liberty.
Da una parte il piacere evidente di dare spazio alla bellezza femminile, che è il soggetto preferito sul quale si appunta l’attenzione, riconoscendo in essa il ruolo fondamentale della ricerca anche del piacere estetico. Dall’altra il gusto della decorazione fine a se stessa che deriva da una straordinaria padronanza del tratto fresco e pulito a cui non era estranea una rigorosa preparazione accademica.
Sono immagini disegnate senza ripensamenti. Di getto, ma con una visione complessiva che dimostra tutta la sua esperienza accademica nella sapienza della disposizione degli elementi decorativi.
La cornice della donna che danza nella struttura geometrica non è altro che un arco a tutto sesto che, però, nella realtà figurativa appare come una greca semicircolare sulla cui parte centrale si appunta un mascherone che sputa una ghirlanda fiorita mentre i piedritti si sciolgono in figurazioni fantastiche di mascheroni baffuti piantati su una cornice, quasi una nicchia, che contiene una statua classica e che, a sua volta, è retta da due sirene alate a caudate con spirali fitomorfiche.
Il tutto tra festoni fioriti collegati da veli annodati e terminanti con volute vegetali. Particolarmente ricca quella che riempie la superficie dell’angolo acuto in basso perché i girali si concludono in una spirale dalla quale balza la figura di un cavallo.
Un tema decorativo che continua sul primo pianerottolo ai lati della porta di accesso al mezzanino. Da una parte una donna dai capelli lunghi e sciolti, è avvolta in un lungo peplo legato a mo’ di tunica mentre alza le braccia per agitare nell’aria un velo leggero. A lato si alzano i fumi di incenso da un braciere con due pendenti ed un piede sottile che si infila in una rosetta di una spirale che è la terminazione del profilo a mezzaluna di una maschera. In alto, dalla bocca di un fantastico drago alato, escono veli annodati da cui pendono una ghirlanda con una testa di donna ed un vaso pieno di fiori.
Dall’altra parte, tra decorazioni speculari alla prima, una donna dai capelli annodati ed acconciati è vestita di una lunga tunica con un’ampia scollatura che mette in evidenza il seno e che è bordata in basso da una sottile greca. E’ rappresentata nell’atto di offrire del mangime a due colombi uno dei quali sembra volerla ringraziare esibendosi in un volo a pancia in alto.
Anche le volte della scala, tra medaglioni che richiamano figure di imperatori romani, l’apparato decorativo è straordinariamente fantasioso. Ai mascheroni baffuti e dalle lunghe chiome che si risolvono in motivi floreali o in corni marmorei a forma di volute si alternano scene acquatiche, sottilissime anfore, bracieri fumanti di incenso, scudi con spade o teste di ariete.
Particolarmente originale il modo misterioso di scrivere l’anno di esecuzione con una finta targa inserita in volute floreali in cui l’anno 98 è scritto in un fantasioso numero alla romana ICCIIC.
Sulla parete della terza rampa la composizione si sviluppa su tre fasce verticali. Una donna seminuda con un braccio alzato ed un ramoscello sulla spalla. Due donne sedute e reggenti un flauto e l’altra un tamburello.
Una donna con una ghirlanda di fiori campestri sembra danzare sollevata da terra mantenuta dal vento che agita il leggerissimo velo che lascia scoperto un seno. E’ rappresentata al centro di una grande cornice in forma circolare costituita da una greca regolare legata da un filo di perle.
Un leggero velo avvolge come una spirale aerea una giovane donna che copre con la mano destra i seni mentre si osserva in uno specchio che tiene in basso con la mano sinistra. Ai lati due incensieri fumiganti si reggono su esili gambi in un impossibile equilibrio agli estremi della mensola sulla quale si appoggia la figura femminile.
Più complessa la figura di una donna dai seni volutamente scoperti ed avvolta in un lungo peplo che le copre interamente le gambe. Una ricca acconciatura a cipolla esalta il bel profilo mentre sta suonando una cetra. Tutta la parete si arricchisce di mascheroni, fantastici draghi alati e motivi floreali spiraliformi.
Tra le decorazioni dello scalone spesso appaiono anche scene contornate da inserti floreali che richiamano ruderi della classicità romana come archi trionfali, templi circolari o colonne isolate.
All’ultimo piano, nel ballatoio del grande salone sulle pareti, in tre diversi quadri, sono rappresentati in rosso sanguigno cinque putti che giocano tra loro bagnandosi in un laghetto o accennando ad un passo di danza.
Il salone principale, in pianta rettangolare, è coperto da una volta a padiglione ribassato contenente decorazioni in stucco e pitture a tempera sempre del Borgoni. Tre finestre balconi e cinque porte si aprono nell’ambiente. Le porte sono decorate ad olio con immagini di volti femminili ed il pavimento è in cotto verniciato con zoccolatura in legno dorato. Nella parte centrale del soffitto è dipinta a colori una scena borghese con menestrello e sei dame in terrazzo, firmato e datato dall’autore: Mario Borgoni “98.
La scena è certamente inventata, anche se il disegno della pavimentazione del terrazzo è ripresa dai pavimenti interni del palazzo a cui certamente Borgoni si ispirò. Non abbiamo elementi per capire chi siano le sei signore che conversano allegramente tra loro, ma certamente si tratta di familiari ed amici degli Armieri. Il menestrello che suona un mandolino, invece, potrebbe essere un autoritratto dell’artista.
L’arredamento del salone, come risulta da una vecchia foto, era completo, ma é andato perduto durante la guerra.
In questa parte della casa Mario Borgoni eseguì una gran quantità di rappresentazioni che complessivamente sono una esaltazione della vita borghese.
Il quadro centrale della scena salottiera della conversazione sul terrazzo è la sintesi di una visione generale che vede soprattutto nella bellezza femminile e nella sensualità degli atteggiamenti e del costume, comunque senza particolari esagerazioni formali, il motivo conduttore.
Alle pareti, utilizzando i setti murari compresi tra le porte ed i finestroni, Borgoni pone 12 figure femminili in grandezza quasi naturale. Ad ognuna di esse è abbinato un fiore che si associa coloristicamente all’abbigliamento sempre vaporoso e leggero.
Anche gli altri ambienti del palazzo sono riccamente decorati con stucchi e pitture. Particolarmente interessante il soffitto di un salotto su cui è rappresentata una donna con cappello a piume, riccamente vestita ed appoggiata ad un muretto di un terrazzo immerso nel verde.
Anche questa pittura è firmata dall’autore.
Nella grande anticamera del salone, che è un vero e proprio loggiato chiuso che si apre sul giardino interno, Borgoni sviluppa una tema più aereo con una visione del cielo in cui svolazzano putti con ali di farfalle.
Dopo qualche anno, nel 1906, Mario Borgoni fu chiamato a dirigere la famosa casa editrice Richter & C. di Napoli. In quell’epoca aveva realizzato uno di quei manifesti pubblicitari che avrebbero fatto la storia del gusto per l’accoppiamento della sensualità femminile ad un prodotto della tecnologia. Grande successo, infatti, ebbe il manifesto che egli realizzò per pubblicizzare la casa automobilistica napoletana De Luca – Daimler. Una bella e felice ragazza è avvolta dal vento alla guida di una vettura scoperta mentre la sua veste bianca assume la forma di una nuvola che evidenzia la catena di trasmissione della ruota dell’automobile .
Mario Borgoni frequentò i luoghi turistici più importanti della Penisola e del Mediterraneo eseguendo una grande quantità di manifesti pubblicitari che ancora oggi caratterizzano le halles degli alberghi internazionali più prestigiosi. Famosi sono i posters di Taormina, di Capri, di Amalfi, di Milano o quelli dell’Egitto, del Grand Hotel Hungaria di Rimini oppure ancora quelli dei biscotti Delser.
Di Mario Borgoni, poi, era gran parte delle “affiches” che gli alberghi più esclusivi applicavano alle valige degli ospiti importanti.
Dopo un quarto di secolo, nel 1925, decise di lasciare Napoli per recarsi a Santo Domingo su invito del Consolato. Qui avrebbe dovuto esporre le sue opere, ma a seguito di una rivolta fu costretto a fuggire negli Stati Uniti dove rimase fino al 1930, l’anno prima della morte avvenuta a Roma nel 1931 (secondo M. Picone Petrusa) o nel 1936.
BIBLIOGRAFIA GENERALE
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M. PICONE PETRUSA, La pittura napoletana del Novecento, Sorrento 2005.
Grazie per le straordinarie immagini di questo splendido palazzo. Io non conoscevo questo tesoro, ma sul tuo sito c’è sempre qualcosa da imparare!
Isabella Astorri
grande Valente!
che meraviglia!
“bellissimissime” decorazioni …..