Sulla facciata del Municipio di Guardiaregia, da tempo non antico, si trovano collocati due stemmi che, con chiara evidenza, provengono da altri luoghi del paese.
Lo stemma di destra è certamente quello dell’Università di Guardia Regia perché vi si vede il simbolo della vigilanza che è una gru coronata che regge nella zampa sollevata un sasso. Ovviamente la corona richiama la circostanza della condizione demaniale (regia) di un nucleo che controlla un territorio (guardia).
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Il secondo, invece, è costituito da un’aggregazione di 12 insegne araldiche. E’ il blasone che sintetizzava l’area geografica del regno di Filippo II.
Una data approssimativa si può desumere dal carattere stilistico delle cornici che, sebbene diverse tra loro ma ambedue a cartoccio, fanno pensare a un periodo compreso tra la fine del XVI secolo e quello successivo.
Ma due considerazioni sul secondo, che farò più avanti, farebbero restringere l’epoca tra l’anno 1581 e l’anno 1640: la presenza del vello (il cosiddetto Toson d’oro) sullo stemma e la presenza del blasone del Portogallo.
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Il Toson d’Oro nello stemma di Guardia Regia
In effetti Scipione Mazzella (Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1597 e 1601) nel 1601 nell’elencare le terre del Contado di Molise poneva anche Guardia Campochiaro, ma metteva solo Isernia tra le città regie: Nomi delle città e Terre di dominio, cioè regie, che sono nella presente Provintia. Isernia, detta anco Esernia, ma la cosa non è così semplice. Ma anche questi elenchi vanno interpretati perché probabilmente Mazzella inserì solo Isernia in quanto aveva il titolo di città, mentre Guardia era solamente una terra.
Della storia amministrativa di Guardia Regia abbiamo pochissime notizie.
La più antica ci deriva dal Catalogo dei Baroni
Guillelmus de Sassana tenet de predicto Hugone Guardiam cum Campoclaro feudum j militis et augmentum milites ij. Una inter feudum et augmentum milites tres et servientes iij.
Il Catalogus Baronum, sebbene riporti in maniera assolutamente essenziale i dati relativi ad ogni feudo, è oggi l’unico strumento che ci permetta di comprendere l’importanza e, forse, anche la dimensione del feudo con la sua capacità economica nei primi decenni subito dopo la metà del XII secolo. Come è noto, i fogli originali del Catalogo sono andati perduti durante l’ultimo conflitto mondiale ma ne conosciamo il testo grazie alla trascrizione di Evelyn Jamison che lo pubblicò nel 1972 (Catalogus Baronum), dopo aver revisionato le precedenti edizioni di Carlo Borrelli, Carmine Fimiani e di Giuseppe Del Re.
Il Catalogo dei Baroni, dunque, non è altro che il registro fatto redigere dal re normanno tra il 1150 ed il 1168 per una leva generale necessaria per formare una grande armata reale sostenuta da tutti gli uomini liberi prescindendo dal loro stato sociale e dal loro rapporto feudale.
Nulla sappiamo di cosa sia accaduto successivamente, ma la storia di Guardia (che ancora non ha il titolo di città regia e viene sempre definita Guardia di Campochiaro) si fa più chiara dall’avvento di Ladislao Durazzo le cui esperienze giovanili si intrecciano con quelle di Francesco Pandone che, allievo d’arme di Giacomo Caldora, diventerà conte di Venafro.
Brevemente.
Dal matrimonio di Carlo Pandone con Martuccia Capuano nel 1384 era nato Francesco che rimaneva orfano di padre.
La vedova Martuccia sposava Filippo Sanfromonte, feudatario di Cantalupo e di altre terre compresa Guardia di Campochiaro. Dal nuovo matrimonio nascevano Matteo, Colella, Antonello e Giacomo che successivamente venivano ricordati per le loro dissolutezze dal Ciarlanti (Memorie historiche del Sannio, Isernia 1944), che riprendeva dal De Lellis ( Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, vol. I, Napoli 1654): i figlioli procreati dal Sanfromondo con li mali lor portamenti aggravavano i vassalli, particolarmente all’honor delle donne…
De Lellis sintetizza cosa sia successo qualche tempo dopo: quei di Prata esasperati di ciò vedendo un giorno , che Martuccia con i suoi diletti figliuoli di Sanfromondo, e molte donne della medesima terra erano scesi dal castello di Prata alla fiumara, per diportarsi nella pesca delle trotte, che vi erano in molta abondanza, andarono a ritrovar Francesco Pandone, che all’hora si trovava ritirato in un Monastero di Sant’Agostino mal trattato dalla madre, & i figliuoli di Sanfromondo per la via di Piedimonte d’Alife, furono costretti di ritirarsi a Boiano, e perché questo fatto occorse dopo la morte della Regina Giovanna seconda, a tempo che contendevano per la soccessione del Regno il Re Alfonso d’Aragona, e Renato d’Angiò, & il Pandone seguiva la parte Aragonese, & i Sanfromondi l’Angioina, passò il Pandone a ritrovar la madre a Boiano per farle alzare le bandiere d’Aragona, ma trovando resistenza, fu costretto entrarvi per forza, del che esasperata grandemente la madre, vedendo esserle riuscita inutile la forza, mentre alzava la mano per maledire il figliolo, fù da colui ferita nel braccio, onde presa la Città ritirossi costei a Cerreto, e con atto pubblico, come ingrato, esereditò Francesco di quanto sopra i suoi beni pretender potuto havesse, e donò le Terre a figliuoli Sanfromondi, quindi nacquero poi le liti, e le guerre tra il conte Scipione Pandone, che fu nepote di Francesco, e Matteo di Sanfromondo, di Nicolò figliuolo, ma alla fine lo Stato restò a casa Pandone, da’ quali per lungo tempo fù posseduto fino al 1528. Che alla venuta di Monsignor di Lautrech con l’essercito Francese lo perse Herrico Pandone per ribellione, non ritrovando altro di Matteo, e della sua posterità.
Più precisamente le Terre di Pratella, di Ciorlano, di Capriati, di Gallo, di Letino e la Terra di Guardia di Campochiaro, furono assegnate a Francesco Pandone nel 1413 dopo essere state confiscate a Filippo Sanfromondo per fellonia. Con l’atto di concessione Francesco Pandone veniva definito ciambellano del Re.
Questi territori finirono ad Enrico Pandone, che fu l’ultimo della famiglia che morì decapitato sul patibolo il 1° dicembre1528 per tradimento. Qualche anno prima della morte, l’8 luglio 1525, Enrico Pandone aveva venduto Guardiaregia per 4.000 ducati a Giambattista di Capua di Riccia. Luigi di Capua d’Altavilla nel 1531 la cedette a Carlo Franco e da costui alla famiglia Gellarulo i cui familiari tennero Guardiaregia fino al 1573.
Il nucleo abitato viene sempre definito Guardia di Campochiaro. Lorenzo Giustiniani (Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, tomo V, Napoli 1802) annota : GUARDIA-REGIA, terra in Contado di Molise in diocesi di Boiano. In tutte le situazioni del Regno ella è però sempre chiamata Guardia-Campochiaro, e mai coll’aggiunta di Regia, siccome è notata da altri. La medesima è situata accosto al Matese, alla distanza di 10 miglia da Campobasso, abitata da circa 1800 individui addetti all’agricoltura, ed alla pastorizia. Il suo territorio produce frumento, legumi, e vino. Non vi manca della caccia di quadrupedi, e di volatili, e pascoli per l’industria degli animali.
La tassa nel 1532 fu di fuochi 96 nel 1545 di 107, nel 1561 di 109, nel 1595 di 108, nel 1648 di …., e nel 1669 di …
Nel 1573 Vincenzo Gellarulo vendé detta terra a Francesco di Gennaro della stessa terra per duc. 1850. L’università proclamò al demanio, e pagò duc. 6000 al detto di Gennaro nel 1580 con ampia promessa di farle godere di un tal dritto in qualsivoglia caso. Ma nel 1620 si pretese di venderla, e nel 1631 pagò altri ducati 1200 al regio Fisco e dal viceré Duca d’Alcalà le fu confermato il privilegio del demanio, altrimenti restituirceli detti duc. 1200 con tutto l’interesse del 7 per 100. Nel 1642 si tentò di venderla altra volta, avendo fatta l’offerta Bartolommeo d’Aquino, e non ebbe luogo. Nel 1646 si volea dare, per rimunerazione degli servizi fatti, al principe di Montenegro.
Giambattista Masciotta (Il Molise dalle origini ai nostri giorni, vol. III, Cava dei Tirreni 1952) precisa, comunque, che Francesco di Gennaro – contrariamente a quanto asserisce il Giustiniani che lo fa naturale di Guardiaregia – apparteneva alla famiglia originaria romana venuta nel Reame nei tempi svevi; ascritta al patriziato napoletano nei Seggi di Porto, Montagna, e Capuana; e ammessa nell’Ordine di Malta nel 1563 aveva per arma uno scudo spaccato: nel primo di oro al leone uscente di rosso, nel secondo di rosso al capriolo di oro.
Dunque solo nel 1631, per decreto del viceré Ferrante Afan di Rivera duca di Alcalà che agiva per conto di re Filippo IV, il nome di Guardia perdeva l’appellativo che l’univa a Campochiaro e diventava definitivamente Guardia Regia per un titolo che già possedeva dal 1580.
Ferdinando de Luca e Raffaele Mastriani (Dizionario corografico del Reame di Napoli, Milano 1852) riprendono con qualche inesattezza dal Giustiniani: Guardia Regia. E’ lontano 10 miglia da Campobasso ed ha fertile territorio. Un Vincenzo Gellarulo vendé questo paese nel 1573 a Francesco Di Gennaro per ducati 1850, ma dal comune fu reclamato il demanio e fu proclamato il demanio, e fu pagato al Di Gennaro la somma di ducati 6000! riscuotendone promessa di lasciare agli abitanti il diritto demaniale: questo fu nel 1580, di tal che la terra in tre anni era cresciuta in valore per più di due terzi. Non passarono 40 anni e si pretendeva di vendere nuovamente il paese, e convenne ai cittadini di pagare al governo 1200 ducati ottenendo dal duca di Alcalà, viceré, la confermazione del privilegio; obbligandosi il duca, se altrimenti del pattuito facesse, di restituire la somma e pagare l’interesse al 7 per 100. E dopo 22 anni, cioè nel 1642, Bartolomeo di Aquino si offrì al governo per comprare il feudo, ma questa volta, forse più per caso che per volontà, non ebbe luogo la domanda. Vedi felicità de’ comuni in secoli non molto lontani!
Giuseppe Maria Galanti nella sua descrizione del regno del 1781 (Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, Napoli 1781) la definisce Guardia Regia, o sia Guardia di Campochiaro. E’ terra demaniale, ed è lontana da Campobasso 10 miglia. Al tempo del re Ruggieri, era suffeudo del Conte Ugone. E’ compresa nella diocesi di Bojano ed è popolata di 1664 cittadini. Vi è clero, una badia, 7 cappelle, uno spedale, 3 monti di pietà.
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Fatta questa sintesi storica possiamo stabilire con ragionevole approssimazione in quale periodo precisamente sia stato realizzato e sistemato a Guardia Regia il nostro blasone reale. Non senza averlo ricostruito sulla scorta delle complicate successioni al trono di Spagna.
Carlo V molto tempo prima di morire aveva cercato di mettere ordine nella gestione del grande regno e progressivamente assegnava a suo figlio Filippo gran parte degli Stati che lo componevano.
La storia delle aggregazioni e delle disaggregazioni regnicole fu sintetizzata nei pennoni araldici dei vari titolari del trono ed è la loro lettura che permette di dare una spiegazione dello stemma che si trova a Guardia Regia.
Quando il figlio di Carlo salì definitivamente sul trono nel 1556 assunse il nome di Filippo II e non ancora aveva il titolo di re del Portogallo. Questa è una circostanza particolare di cui si dovrà tenere conto per capire il blasone di Guardia Regia che invece ne contiene le insegne in uno scudo i cui colori araldici sono d’argento con cinque scudetti d’azzurro posti in croce caricati ciascuno d’un bisante d’argento in Croce di Sant’Andrea, con la bordura di rosso caricata di sette castelli di oro, posti tre nel capo, due ai lati e due inclinati a destra e a sinistra della punta.
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Lo stemma del Portogallo
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Lo scudo del Portogallo, che peraltro ricorda che sua madre Isabella ne era regina, fu inserito nel pennone reale successivamente all’invasione che Filippo II fece nel 1580 divenendone re nell’anno successivo. Il dominio sul Portogallo durò, però, solo 60 anni perché, con l’ultima rivolta indipendentista dal governo centrale di Madrid del 1640, Filippo IV (1605-1665) fu espulso dal Portogallo, sicché da quell’anno l’emblema fu cancellato dal pennone spagnolo.
Gli altri stemmi si leggono progressivamente individuandone i segni araldici.
La Castiglia è rappresentata con le sue Torri d’oro su fondo di rosso inquartato con i Leoni di Leon di rosso su fondo d’argento.
Il Regno di Sicilia si riconosce per i pali di rosso e d’oro d’Aragona e quelli campati in Croce di Sant’Andrea con le due Aquile nere su campo d’argento troncato con l’emblema del Regno di Gerusalemme d’argento, alla croce potenziata d’oro, accantonata da quattro crocette dello stesso.
In punta ai due quarti è posta la Mela granata su fondo d’argento che è l’insegna di Granada che era stata la capitale dell’ultimo regno musulmano definitivamente riconquistato nel 1492.
Sul tutto dei due quarti lo scudo del Portogallo prima descritto.
Nei due quarti sottostanti sono posti il blasone degli Asburgo che è di rosso alla fascia d’argento, quello della Borgogna antica a bande d’oro e d’azzurro bordate di rosso e quello della Borgogna moderna con i gigli d’oro in campo azzurro bordato d’argento e di rosso. Infine lo stemma del Brabante (i Paesi Bassi) che è un Leone d’oro in campo nero.
Sul tutto uno scudo partito con le insegne della Fiandra, che ha il leone di rosso in campo d’oro, e di Anversa, con l’aquila di rosso in campo d’argento.
In genere nella blasonatura spagnola, dopo Carlo V, non appare la croce di Gerusalemme che ha un riferimento specifico al regno di Napoli al quale è assommato anche quello di Gerusalemme.
Particolarmente interessante nel nostro blasone è il toson d’oro che, secondo il solito, è rappresentato con il vello pendente dal collare. E’ un attributo cavalleresco istituito il 10 gennaio del 1430, sotto la protezione di Sant’Andrea, quando Filippo III il Buono, duca di Borgogna, sposò la principessa Isabella d’Aviz.
Con la fine dello Stato di Borgogna, quando Maria di Borgogna (1457 – 1482), figlia di Filippo, sposò Massimiliano I d’Asburgo (1459 – 1519), l’ordine passò alla casa d’Asburgo.
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Filippo II di Spagna con il Toson d’Oro
Dopo l’abdicazione di Carlo V nel 1556 il grande regno fu assegnato in parte al figlio Filippo II di Spagna e in parte al fratello Ferdinando I che nel 1558 assunse il titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero. Con la divisione dell’impero di Carlo V si divise anche l’Ordine del Toson d’Oro in quello spagnolo e in quello austriaco (Nobili napoletani, in http://www.nobili-napoletani.it/Ordine-Toson-d-oro.htm).
Della onorificenza si fregiarono i discendenti di Carlo V che la considerarono una loro prerogativa.
Salve Dott. Valente,
sono Mattia Spedicato e sto scrivendo una tesi magistrale riguardante gli edifici di culto del mio paese, Carmiano (LE) e mi sono imbattutto nello stesso stemma riguaradante Filippo II. Sono riuscito a trovare solo informazioni dal web e nessuna da testi. Vorrei chiederele da dove ha attinto (studi e pubblicazioni) le informazioni precise circa la ricostruzione dello stemma, in modo tale da poterle inserire nella tesi.
La ringrazio, distinti saluti, Mattia Spedicato