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Costanza, Ercole, Galeazzo e tanti altri: Storia di amori, di tradimenti e di duelli nel Molise del XV secolo

By 23 Giugno 2011 No Comments

Storia di amori, di tradimenti e di duelli nel Molise del XV secolo.
Sono convinto che il quattrocento molisano sia un periodo storico particolarmente ricco di avventure amorose, di tradimenti e di duelli per i quali è possibile trovare una ricca letteratura che, però, molto spesso è poco conosciuta. Anche perché nessun grande scrittore ha avuto l’interesse a prendere spunto per tirarne fuori un grande romanzo.

Si è molto parlato della crudele storia di Costanza di Chiaromonte che, ripudiata da re Ladislao, il quale riuscì ad ottenere il divorzio da papa  Bonifacio IX, andò sposa ad Andrea di Capua, fraterno amico del re e titolare del feudo di Riccia e delle terre circostanti. Da questo matrimonio era nato Luigi di Capua che si unì in matrimonio ad Altobella, sorella di Galeazzo Pandone dei conti di Venafro.


La tomba di Galeazzo Pandone (1514)

Poco si è parlato, invece, di una storia, forse ancora più crudele, che fu costretta a vivere un’altra Costanza, la figlia di Luigi e di Altobella, che aveva mantenuto il nome della nonna.

Una storia che si diffuse nei salotti rinascimentali di Napoli fino a che fu raccolta nel XVII secolo da Ascanio e Silvio Corona all’interno di un vero e proprio trattato di amori e tradimenti. Un’opera che ebbe un discreto successo nel Regno di Napoli con una serie di trascrizioni manoscritte (dove Ascanio e Silvio sono stati ritenuti essere un unico autore) andate sotto vari titoli tra i quali Successi diversi traggici et amorosi in Napoli et altrove a Napolitani, cominciando dalli Re Aragonesi oppure La verità svelata a’ principi. Corna di Napoli. Successi diversi tragici ed amorosi occorsi in Napoli ed altrove a’ Napoletani.

Una di queste edizioni fu letta da Berengario Amorosa e da essa lo storico di Riccia trascrisse la parte che riguardava le vicende amorose della nostra Costanza di Capua.

La storia è appassionante e, prima o poi, credo che avremo modo di tornarci, se non altro per conoscere fatti e misfatti della famiglia Pandone di Venafro che grande parte ebbero nella storia politica del nostro territorio nel XV e XVI secolo.

In particolare le vicende di Galeazzo Pandone, personaggio singolare la cui tomba fu fatta eseguire all’interno della chiesa di S. Domenico Maggiore di Napoli, a cura del suo stimatore Matteo Arcella: Nobilissimo monumento di Galeazzo Pandone, opera assai sublime del nostro Giovanni da Nola, e degna dello scalpello greco. La testa di Galeazzo sembra viva: i due putti piangenti, che sono ai fianchi sono bellissimi. Gl’intagli poi che sono in giro sono invero dilicati; ond’è che di continuo veggonsi ivi degli studiosi, che li ritraggono in disegno (Vincenzo Maria Perrotta, Descrizione storica della chiesa, e del monistero di S. Domenico Maggiore, Napoli 1830, p.62).


(dal Portale dei Beni Culturali della Campania. Il monumento funebre è stato poi attribuito ad Andrea da Fiesole e Diego de Siloe)

Berengario Galileo Amorosa, Riccia nella storia e nel folk-lore, Casalbordino 1903, p.73-76

Togliamo dal rarissimo manoscritto intitolato: Fatti tragici successi nella Città, e Regno di Napoli di Silvio Ascanio Corona la seguente avventura che questa figlia del nostro feudatario ebbe con Ercole d’Este, il quale viveva allora presso la corte napoletana. Riferiamo la inedita narrazione del Corona, non per rilevare il giovanile errore dell’ inesperta Costanza; ma per dare ai lettori un saggio della vita intima di quei tempi.
« Essendo pervenuto Ercole nell’eta di anni 18 di bello e gentil sembiante valoroso al pari di qualsivoglia altro Cavaliere, che nella corte di quel gran Re fiorisse, e pieno di ogni virtù Cavalleresca s’innamorò come suole accadere ai giovani sfacendati, di una nobilissima donzella chiamata Costanza della nobiI famiglia di Capoa, qual era figlia di Luigi Conte d’Altavilla morto alcuni anni addietro, e d’Altobella Pandone sorella: di Galeazzo Pandone, anche figlia di Fran.sco Conte di Venafro.

Vivea Costanza con molti suoi fratelli, il primo dei quali che si chiamava Andrea, s’intitolava come primogenito Conte d’Altavilla, sotto la condotta di Altobella loro madre, che allevavansi con virtuosa disciplina, e che a donne della sua qualità si convenivano, ed avendola Ercole, a più d’una occsione veduta, e considerata di quella minutamente le maniere, ed il gentil sembiante, fieramente come si è detto, se ne invaghì, perlocchè avendola a più d’un segno fatt’accorta, ed avveduta del suo amore, in tal maniera si governò in esso; che Costanza che non era cieca affatto, cominciò ad aprire il petto alle fiamme amorose, sicchè stimandosi Ercole il più fortunato uomo, che mai fosse al mondo, dandosi tutto ad armeggiare, e cavalcare, ed a fare tutte quelle cose, che a conservare ed accrescere l’amore verso quella stimava opportune; onde desideravano, essendo reciproco l’amore, e la fiamma che ne’ loro petti ardeva, trovar convenevol modo, e maniera che insieme esser potessero, e non mancò la fortuna d’esser propizia a’ loro desideri, e con l’agiuto d’una fida Cameriera Secretaria de’ loro amori entrò Ercole una notte nella camera di Costanza con una scala di fune appoggiata ad una fenestra, che corrispondeva ad una vietta non pratticata con soprasaldo tanto grande di Costanza, che venne meno nelle braccia del suo caro amante, il quale confuso al svenimento di quella, al meglio modo, che potè, si diede coll’aggiuto della Cameriera a farla rivenire, sicchè essendosi riavuta, proruppe in un dirotto pianto con tanta confusione d’Ercole, che non sapeva in qual parte deI mondo si fusse, e fattala alquanto sfogare, presala per la mano, la pregava, che desistesse dal rammarico, poichè essendo lui ivi venuto col suo consenso, e gusto non era per apportarli danno alcuno, ma fare tutto quello, che a lei fusse grato; e rasciugate le lagrime Costanza così prese a dirle:
Signor Ercole, sa Iddio benedetto l’ardente, e sviscerato amore, che vi porto, e se non fossi stata da questo spinta non avrei assentito al vostro venir qui di questa maniera furtivamente, con pericolo di lasciarvi la vita entrambi, e del mio onore, e con esser fatta favola del Mondo, per la qual cosa pensando a ciò nell’entrar vostro qua, ed essendosi in quel punto offuscato il lume dell’intelletto, mi è sopraggiunto tanto dolore, che mi avrei dato la morte con le mie proprie mani; ma adesso al tatto non vi è rimedio ed ogni cosa violenta, a che mi applicassi mi farebbe perdere il corpo, e l’anima, e sarebbe alla mia fama perpetuo disonore; Dovete sapere o mio caro che l’amore mio verso di voi è stato, ed è non con altro pensiero, che d’esser perpetuamente vostra col ligarci col santo vincolo del Matrimonio, e però se avete altro pensiero in testa, che d’esser mio Signore, e sposo, vi priego a ritornarvene per quella istessa strada per la quale siete venuto ed a chiudere nel vostro petto, com’ è debito d’ogni nobil cavaliere tutto ciò che vi è avvenuto. – Ercole alle parole della sua donna così rispose:
Signora, sallo Iddio, qual chiamo in testimonio, che non con altro fine ho bramato, e bramo il suo amore, che per esserli perpetuo Servitore, e Sposo, e non piaccia a Dio, che con altra voglia abbia intenzione di toccare il suo bellissimo corpo, e perciò presente lui che ci ascolta, ed è consapevole de’ miei onesti pensieri, e di questa vostra fida serva io intendo da ora sino a miglior occasione per l’ interesse, che tengo col Marchese mio fratello, di sposarvi secretamente, e cavandosi un ricco anello dal dito la sposò pregandola a tener ciò celalo e si contentasse di differirne la pubblicazione, insino a tanto, che stabilisse gli affari suoi vacillanti, e potesse senza noia e pericolo far le nozze pubblicamente.

Del che lieta Costanza, non pensando che sogliono talvolta gli uomini, per togliersi i loro capricci, servirsi di siffatti mezzi. con danno, e disonore grandissimo delle povere donne, che danno loro facile credenza; perlocché abbracciata e baciata da Ercole a titolo di sposa spogliatisi entrambi entrarono in letto, dove con gusto d’ambo le parti colsero il frutto del loro amore, e prima che spuntasse l’alba, licenziatosi Ercole da Costanza, se ne calò per la medesima finestra e se ne andò a sua casa, senza esser da niuno osservato. Durò per molti- mesi questa prattica senza che mai alcuno se ne accorgesse, sì bene seppero tener celati i loro amori, e maggiormente la fortuna li fu propizia, perché ,Costanza non uscì gravida.

Avvenne in questo mentre che la Cameriera Secretaria dei loro amori, avendo avuto alcuni disgusti con un’ altra cameriera favorita da Altobella madre di Costanza, fu da essa Altobella licenziata dal servizio di sua figliuola, e della casa con tanto rammarico e disgusto di Costanza, che fu quasi per morire di dolore non solo perché era conscia dei suoi amori ma perché poteva in qualche modo promulgare il segreto, come anco li bisognava per causa delli notturni congressi, come in effetti se ne interruppe la continuazione con sommo disgusto degli amanti. Fra tanto la Cameriera, tutta piena di dolore d’esser, scacciata per lo molto favore che la sua inimica con Altobella sua Padrona aveva, pregò, e fece pregare il Sig. Galeazzo Pandone, che si fusse interposto con la sua sorella a volerla di nuovo ripigliare, massime, che per leggiera occasione, e per gare feminili era stata licenziata. Non mancò Galeazzo di passare l’officio con sua sorella, acciò la ripigliasse di nuovo in sua Casa, ma tutte furono parole buttate al vento, e perchè era, alquanto bella, e di vista, Galeazzo postoli gli occhi addosso, fece pensiero di tenerla a’ suoi piaceri, massimamente che vivea da soldato senza donne in casa, perchè era Galeazzo bravo, e coraggioso Cavaliere, che a più d’una prova si era fatto conoscere per tale; onde appresso il Re era tenuto in grande estimazione perlocché da quello aveva ottenuto molti doni, e mercedi. Posto dunque in effetto il suo pensiero, se la prese in sua casa, godendola amorosamente, ma quella non contenta degli abbracciamenti del suo padrone, volle quelli d’un servo di Galeazzo, che teneva fra gli altri al suo servizio di fiorita gioventù, e di volto grazioso, e bello al pari di qualunque altro col quale scherzando più di quello si conveniva, diede materia a Galeazzo di accorgersi dei loro amori, come in effetto un giorno li trovò assieme scherzando, e non volendo contro quelli incrudelire, togliendoseli di casa, con farli prima sposare, li mandò via.

Intanto avvenne che Galeazzo teneva stretta prattica con Altobella sua sorella di conseguire Costanza sua nipote per sposa, e tenendo il matrimonio per sicuro, ne avea da Nicolo V procurato la dispensa, al quale esso Galeazzo era caro per molti servigi a pro della Chiesa e sede prestati. Ma benché sua sorella avesse condisceso a questo matrimonio, con tutto ciò ritrovò tanta ripugnanza nella figliuola, che stimava impossibile ridurla, e non sapendo Galeazzo di tanta ripugnanza la cagione, ne stava il più confuso, e mal contento uomo del mondo, e la povera Costanza vedendosi di continuo dalla sua madre sollecitata alla conclusione di sì fatte nozze, si può solamente considerare, e non descrivere, come ne stasse dolente, per la qual cosa ne cadde inferma con pericolo di lasciarvi la vita.

Era pubblica per la Corte e per la Città così la parentela che si doveva fare, con Galeazzo, sì anche il continuò martellare, che si faceva dalla madre, e dalla Contessa di Caserta sua zia a Costanza acciò si dasse il consenso di quella alle nozze e conseguentemente il tutto era palese ad Ercole il quale benché fusse stata la loro prattica di notte interrotta, con tutto ciò conservava nel suo petto più che mai vivo quel fuoco d’amore, che sin dal principio erasi in esso acceso, e dubitando, che a lungo andare col continuo martellare, che si faceva dalla madre e dalla zia non perdesse la sua amata Costanza; punto al vivo da fiera gelosia, che l’assaltò, si risolse, ma imprudentemente di scoprire, e far palese la fede, che si avevano dato di matrimonio, e che perciò quella non poteva esser d’altri che sua, e pregare Galeazzo, che desistesse dalla sua dimanda, e quando ciò con preghiera non avesse voluto fare, di chiamarlo a duello, ed ucciderlo, se fusse possibile, con questa risoluzione trovatolo una mattina nell’anticamera del Re, ed essendo da solo a solo, così li disse: “Sig. Galeazzo, io credevo, che l’amicizia, che è stata fra di noi si dovesse convertire in una stretta parentela, stante le reciproche promesse di matrimonio, che ci siamo dato con la Sig. Costanza di Capoa vostra nipote: ma perché ò saputo, che ancor voi aspirate alle di lei nozze, forse ignaro delle promesse passate tra di noi, perciò ve ne ò voluto far consapevole, acciò vi possiate quietare d’animo, ne più far forzare la volontà di quella, la quale essendo già mia non può in modo alcuno esser vostra, pertando la priego a non far turbare li nostri pudichi amori, ma desistere dalle richieste, con mostrarsi amico a quel che vuol la ragione; altrimente vi fo sapere, che mi averete per capitaI nemico, e mi farete far quello per debito d’onore, che non vorrei aver ragione di farlo”.

Galeazzo che era superbo per molte prove di valore fatte da lui in diverse imprese, sentendo ciò tutto pieno di sdegno così rispose: “Sig. Ercole io non posso credere ciò che narrato mi avete, ne dove e quando han potuto seguire queste sognate promesse di matrimonio fra voi, e Costanza, e perciò è necessario di credere, che sia vostra menzogna, come invidioso del mio bene, per impedire le mie nozze con quella già concluse, e stabilite col, di lei consenso, e se pure ha potuto accadere, che sia passato fra voi qualche semplice sguardo, che non può essere altrimenti, com’ è uso da farsi da Dame e Cavalieri, ciò non ha potuto essere, che per solo beffarvi“.

Non poté Ercole già sentir questo, che non li dasse una mentita in faccia, soggiungendo, che pari suoi da Dame delle qualità di Costanza sua nipote si aveva a grado di averli per amanti, non che per sposi. Galeazzo sentendosi aggravato di parole e dalla mentita, si tenne di por mano alla spada per ritrovarsi nell’ anticamera del Re, ma li replicò, che per riverenza del luogo non castigava secondo si conveniva la sua temerità, ma se era quel cavaliere, che si stimava, fusse uscito da quel luogo, che l’averebbe fatto dismentire di tutte le menzogne sue; ed essendo d’accordo senza por tempo in mezzo se ne uscirono da quel luogo, e postisi a cavallo colla sola spada se ne andarono fuori della Citta in un solitario e non pratticato luogo, ed ivi con spade nude in mano si batterono con gran furia valorosamente facendo parecchi assalti, nelli quali restò Ercole ferito leggermente nel volto, e Galeazzo con due gran ferite una delle quali era nella testa, e l’altra nel braccio, per le quali sarebbe senza dubbio alcuno, non potendo per la ferita del braccio giocar bene la spada, restato morto, se non sopraggiungevano loro molti Cavalieri a dipartirli per ordine del Re, che del tutto era stato avvisato. Ciò succedette a’ 13 maggio dell’anno 1450 giorno di Martedi.

Stette Ercole a letto per parecchi di, ma Galeazzo ne stette molti più a guarirsi, e saputa da tutti la causa della loro disfida, quella Cameriera adiutrice degli amori d’Ercole, e Costanza quale già erasi maritata col servo di Galeazzo, narrò a Galeazzo tutto il succeduto di quelli, e come per parecchi mesi era andato Ercole con la scala di fune a godere la sua Padrona. Il marito pensando di far cosa grata li Galeazzo suo antico padrone con averne da lui qualche premio meritevole narrogli il tutto, come gli l’avea raccontato sua moglie, e ciò confermato anche da quella, si ebbero per premio del loro soverchio parlare la morte, meritatamente ritrovandosi ambedue uccisi nel proprio letto una mattina. E quando si credeva che dovesse succedere qualche grandissimo inconveniente, e gran rumore, per essersi il tutto propalato degli amori d’Ercole, e Costanza, o almeno se ne fossero celebrati gli sponsali con maraviglia grande d’ogn’uno, ch’ era consapevole del fatto, così all’uno come all’ altro si diede silenzio, poiché si credè, che con celebrare li sponsali si sarebbe verificato il tutto, che fra di loro fosse passato prattica amorosa, e fortiva di notte tempo, e ciò ridondato sarebbe non solo in disonore di Costanza, ma di tutta la famiglia, bensì Costanza fu posta in monastero, dove stiede per molto tempo, e fin all’ anno 1457, essendone poi cacciata, per essere stata data in isposa al Conte di Consa della famiglia Gesualdo, col quale quietamente visse.

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